Il Museo dell’Emigrazione di Santa Ninfa
Foto: ELLIS ISLAND (l`isola delle lacrime) - Andare a Santa Ninfa, piccolo comune del trapanese, con il gruppo di simpatizzanti archeologi del GAD ed imbattersi nel Museo dell’Emigrazione, quasi per caso. Quello che i testi scolastici di storia liquidano in mezza paginetta è lì, sospeso su quei pannelli, da cui dirompono, vivi, la storia ed il dolore delle migliaia santaninfesi che si allontanavano dalla loro terra, esempio di un enorme esodo che sconvolse e depauperò l’Isola tutta, tra il 1880-1924. Giuseppe Bivona, fondatore e direttore, ci racconta con emozione come l’istituzione del Museo abbia avuto origine dal ritrovamento di un prezioso manoscritto, proveniente da Brooklyn, che Luigi Li Causi, aveva avuto spedito negli anni 50 da un emigrante santaninfese: Francesco Maggio. E venendo a conoscenza di un progetto che rappresentasse l’Emigrazione per cause politiche della Sicilia occidentale, portò questo manoscritto al Bivona. Il diario raccontava dell’attività politica e dell’impegno sociale attraverso i quali la comunità santaninfese si era distinta nella nuova patria, riuscendo perfino a costruire a Brooklyn con grandi sacrifici il “Galileo Temple”, un costoso edificio, inaugurato il 27 maggio 1928 ed intitolato al martire del libero pensiero Galileo Galilei. Il Francesco Maggio annota scrupolosamente come egli fosse tra gli organizzatori del Galileo Temple che doveva essere una scuola d’avanguardia, lontana dagli schemi fascisti, e fu centro di aggregazione, di attività e di propaganda socialista e libertaria. Giuseppe Bivona si commuove nel leggere quel manoscritto, ma non ha prove su cui basare quella conoscenza. Non sa chi fosse quel Francesco Maggio, perciò fa di tutto per andare in America alla ricerca di verifiche. In quel lontano paese gli si apre uno scenario incredibile, mentre oggi Santa Ninfa conta 5000 abitanti, a Brooklyn trova una comunità di 7000 discendenti santaninfesi, che lo accolgono e lo aiutano a trovare la documentazione di cui ha bisogno. Intanto il “Galileo Temple” esiste davvero, anche se dopo la crisi del 1929, la comunità siciliana se ne dovette privare. Oggi è un vecchio edificio che ha subito qualche rimaneggiamento, adibito a Centro di Accoglienza di disturbati mentali, la ghiera di ferro che sovrastava il portone d’ingresso con le lettere SN (Santa Ninfa) fino al 2005, è conservata presso la sede dell’antica Società Operaia di Mutuo Soccorso che era nata come prima forma di aggregazione ed aiuto per i Santaninfesi in America. Poi trova la tomba di Francesco Maggio, su cui è scritto: Pace e Libertà. Da lì, con l’aiuto del cavaliere Peter Cardella, testimone di 80 anni di storia, figlio di uno dei benefattori del Galileo Temple, scopre chi è il suo compatriota e la storia della comunità americana-santaninfese. Francesco Maggio nasce a Santa Ninfa il 6 febbraio 1882, si nutre delle idee socialiste di Saverio Giacalone, il fondatore dei Fasci Siciliani dei Lavoratori (da non confondersi con i Fasci di Mussolini). A 12 anni partecipa alle manifestazioni popolari dei contadini, che chiedevano migliorie per la loro misera condizione, ma che vengono represse dal Crispi nel sangue. Vede fallire miseramente tutto quel fermento di libertà ed uguaglianza che agitò le masse dei contadini, con morti ed arresti. Vede espatriare i suoi compagni per “Lamerica”, alla ricerca di una vita priva di sfruttamenti. Ed alla fine nel 1905 con il carretto arriva a Palermo e s’imbarca sull’affollato piroscafo “Città di Napoli” alla ricerca della Libertà. Giunto nel porto di New York, “Lamerica” non era ancora vicina. Bisognava passare da Ellis Island, l’isola delle lacrime, dove tra pratiche burocratiche, visite mediche, prove attitudinali e talvolta processi, era molto facile subire dolorosi rimpatri. Riesce a superare le prove e ad inserirsi nella comunità santaninfese di Brooklyn. Cambia molti lavori per sopravvivere, ma questo non gli impedisce di partecipare agli scioperi degli operai e a svolgere attività propagandistica. Nell’infuocato clima del dopoguerra, matura tendenze anarchiche e si avvicina alle idee di Bakunin e Malatesta. Negli anni 20 si sposa ed a metà degli anni 50 torna in visita a Santa Ninfa, incontra Luigi Li Causi e gli parla della sua esperienza. Spedisce poi il suo “cartolaio” (come lo chiama lui) a Li Causi accompagnato da una lettera nella quale lo prega di donarlo alla “ribelle e libera Santa Ninfa”. Muore il 20 maggio 1964 in un ospedale di Brooklyn all’età di 82 anni. Il Museo descrive, inoltre, la storia del grande esodo, i flussi migratori, alcuni pannelli espongono le foto delle affollate navi con cui i siciliani hanno solcato l’Atlantico ed infine mostra le valigie di cartone, i suppellettili, l’abbigliamento con i ricami ottocenteschi che i discendenti italo-americani hanno donato, a perituro ricordo, che sono fonte di grande commozione. LA STORIA Perché partirono? Il sistema feudale, fondato sulla proprietà terriera ereditaria, non dava nessuna possibilità alle classi povere di migliorare la propria condizione sociale ed economica. Saverio Giacalone, laureato in ingegneria ed agronomo presso il Comune di Santa Ninfa, considerò il Socialismo la sola ancora di salvezza per i lavoratori della terra esortandoli ad organizzarsi in un unico partito sociale. (Già nel 1887 insieme Michele De Stefani Perez avevano dato vita alla Società Operaia di Mutuo Soccorso Umberto I), fondò, perciò, il 15 agosto del 1893 il primo Fascio dei Lavoratori a Partanna, proponendo al Comune l’acquisto di macchine agricole da dare in affitto ai contadini, a prezzo politico. Il 15 ottobre dello stesso anno, i Santaninfesi lo acclamano presidente del loro appena nato Fascio dei Lavoratori. Da lì fu un susseguirsi con la costituzione dei fasci a Salaparuta, Trapani, Castelvetrano, Gibellina, Poggioreale e Salemi. La nostra provincia fu fermento di rinnovamento sociale. Giacalone, allora, incontrò a Palermo il siciliano Francesco Crispi, Primo Ministro e gli chiese di sollevare la condizione dei contadini dalla miseria in cui si trovavano. Ma Crispi, esponente dei ricchi possidenti dell’isola, non colse il fermento sociale, ma anzi mandò l’esercito e represse nel sangue le manifestazioni che si organizzarono nel trapanese, fino ad arrivare alla proclamazione dello stadio di assedio il 3 gennaio 1894. Ci furono arresti indiscriminati, processi e fucilazioni. Il sangue si sparse per tutto il territorio trapanese. Il 31 marzo dello stesso anno anche Saverio Giacalone venne arrestato. A questo si aggiunse la crisi dell’agricoltura a causa della fillossera, che solo a Marsala fece 12 mila disoccupati e l’aggravarsi delle imposte nelle campagne meridionali dopo l’unificazione del paese. Il Meridione depredato dall’esercito, dissanguato dal potere feudale non ebbe altra scelta: le navi che dall’America portavano merci in Europa, facevano ritorno carichi di emigranti. Crispi fu un traditore del popolo siciliano, nessun testo di storia lo dice. Ebbe anche una miope visione del futuro: i milioni di contadini siciliani che emigrarono determinarono lo spopolamento delle campagne, con la conseguente crisi delle attività agricole ed industriali appartenenti al ceto benestante. Cominciò così un lento ed inesorabile decadimento per tutta l’Isola ed ancora oggi ne sentiamo le conseguenze.