Una ricorrenza che si ripete e molto sentita
Nel giorno dedicato a San Pietro visitiamo la chiesa di Trapani dedicata al Santo Apostolo, primo papa della Chiesa cristiana.
Le origini dell’edificio affondano nella leggenda e nel mito che lo indicano come chiesa paleocristiana costruita in seguito alla venuta a Trapani di San Pietro, su di un tempio pagano dedicato al dio Saturno, mitico fondatore della città.
La storiografia più accreditata ne riferisce invece al Gran Conte Ruggero, il Normanno, la riedificazione avvenuta nel 1076.
Nel 1282 Pietro d’Aragona vi giurò di mantenere i privilegi della città, e nel 1535 l’imperatore Carlo V, di ritorno da Tunisi, nella chiesa offrì in dono alla città lo stendardo di broccato tolto all’esercito turco durante la famosa battaglia.
Più volte restaurata nel corso dei secoli, la chiesa, che ha il titolo di protobasilica, venne ingrandita nel 1695. Nell’ultimo restauro del 1753 intervenne anche l’architetto trapanese Giovanni Biagio Amico ampliandola e rinnovando lo spazio presbiteriale; pochi anni dopo, nel 1772, gravi lesioni determinarono l’abbattimento delle antiche strutture e l’edificazione di un nuovo l’edificio, il cui progetto fu affidato al discepolo di Amico, Luciano Gambina, divenuto architetto del Senato nel 1754. Questi ideò una basilica grandiosa conferendole l’esclusività, in città, delle cinque navate su una pianta a croce latina con transetto e cupola. Dodici colonne marmoree dividono la nave centrale dalle laterali e quattro cappelle per lato suddividono le due perimetrali, coperte da piccole cupole esternamente rivestite da mattonelle maiolicate.
Orientata ad ovest come le antiche chiese paleocristiane, sulla facciata presenta tre portali che immettono all’interno: il mediano, inquadrato tra due colonne su alti plinti, culmina in un frontone spezzato nel quale è inserita una marmorea Madonna del Cardellino (1568), attribuita ad Antonino Gagini.
Gelosa custode dei suoi tesori, rimasta chiusa al culto per lungo tempo dopo il terremoto del 1968, conserva ancora resti delle strutture cinquecentesche e pregevoli opere d’arte tra cui le statue marmoree dei Santi Pietro e Paolo di bottega gaginesca.
Frammenti di affreschi sulla volta, eseguiti alla fine del Settecento dal palermitano Vincenzo Manno, resistendo al tempo ancora rievocano episodi della vita di San Pietro: Gesù consegna a Pietro le chiavi con le quali intende dare il ministero di servizio della Chiesa universale; La prima predica di San Pietro a Pentecoste; La guarigione del paralitico alla porta del tempio.
La figura di Pietro ricompare nella grande tela riferita al trapanese Andrea Carrera (1610-1677), collocata sull’altare maggiore raffigurante la Trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor, nella quale il Santo è raffigurato assieme a Giacomo e Giovanni con i quali assistette all’episodio. Allo stesso pittore viene attribuito il dipinto che si trova nell’altare dedicato a San Pietro, nel transetto destro, raffigurante Gesù che chiama Andrea, fratello di Pietro e, come lui, pescatore a Cafarnao dove i due si erano trasferiti da Betsaida, cittadina della Galilea.
Opera di grande devozione popolare è la statua di San Pietro, seduto in trono, con abiti papali in tessuto e tiara, una scultura attribuita al trapanese Mario Ciotta (fine secolo XVII-1750 ca.). Allo stesso artista viene riferito il secondo gruppo processionale dei Misteri, La Lavanda dei piedi, realizzato con la tecnica del “legno tela e colla”, nel quale Pietro è colto nel momento in cui ha una reazione di stupore e si rifiuta di avere lavati i piedi da Gesù.
L’Apostolo viene sempre raffigurato con i connotati fisionomici iconograficamente fissati nel V secolo secondo la descrizione di Eusebio di Cesarea (III-IV secolo), che rimarranno pressoché invariati nel tempo permettendo di riconoscerlo facilmente: un uomo di mezza età, dai tratti somatici marcati e popolani, con barba crespa, capelli ricci e corti, stempiato con ricciolo isolato.
Suo specifico attributo sono le chiavi, simbolo di quelle del Cielo che Gesù gli promise quando fondò su di lui la Chiesa. Il Messia gli cambiò anche il nome da Simone in Kefa, che in ebraico significa “pietra”, sempre per indicare la fondazione della Chiesa.
Seguendo l’iconografia tradizionale lo raffigurerà anche Baldassare Pisciotta (1715-1792) nel sacro gruppo dei Misteri La Negazione, cogliendolo nell’attimo in cui, secondo i sacri testi, dopo il diniego incrocia lo sguardo eloquente di Gesù: in quel momento gli viene in mente la frase da questi pronunziata - oggi, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte (Luca XXII, 54-62) - e portandosi la mano destra al petto ha un gesto di contrizione e pentimento.
La figura di Pietro, con gli stessi connotati iconografici, è presente anche negli episodi l’Orazione nell’orto e l’Arresto della processione dei Misteri.
Lina Novara