CASA LA BARBERA

CASA LA BARBERA

CASA LA BARBERA

Continua la passeggiata virtuale a Trapani con Lina Novara

 

Continuando a passeggiare per Trapani alla scoperta di edifici liberty, sulla via Osorio ci imbattiamo in un altro raffinato esempio di costruzione dei primi del Novecento, Casa La Barbera, progettata dall’architetto Francesco La Grassa, massimo esponente del liberty trapanese e degno allievo di Ernesto Basile.

Il proprietario dell’immobile, Alberto La Barbera, si rivolse al giovane, ma già affermato, ingegnere-architetto La Grassa per il progetto del quale si conserva il disegno originale della facciata, approvato l’1 ottobre 1904.

La composizione si sviluppa verticalmente in tre settori segnati da paraste, e orizzontalmente su altrettanti piani suddivisi da cornici marcapiano. 

Pur nella semplicità delle linee e nella compattezza del volume ritornano insistenti alcuni stilemi ricorrenti nella progettualità giovanile di La Grassa, come le lunghe paraste che partendo dal basso si innalzano fino al cornicione dell’ultimo piano e si competano con motivi decorativi che superano il colmo del tetto, o le bande pendenti e le bugne appena rilevate dalla superficie muraria che fanno da ornamento ad architravi ed archi.

Originale è la soluzione della parte finale della facciata dove volute affrontate, al di sopra delle aperture del terzo piano, completano il prospetto e formano con le sovrastanti cornici orizzontali e verticali, il coronamento dell’edificio creando un gradevole effetto decorativo. 

Un gusto più marcatamente liberty o meglio floreale si manifesta nei decori delle inferriate dei balconi e della lunetta del portone di ingresso, oltre che nelle composizioni di gigli, poste sotto l’arco delle finestre del piano terra.

Ispirati ancora al linguaggio liberty risultano inoltre la sistemazione dell’androne e del vano scala, il portone d’ingresso e la decorazione pittorica di alcuni soffitti nei quali si evidenzia l’intenzione di dilatare lo spazio oltre i confini fisici con artifici prospettici

Scorciata secondo la prospettiva del sottinsù è infatti una finta apertura rettangolare, illusoriamente protetta da una ringhiera, dalla quale sporgono vasi colmi di fiori e frutti, sullo sfondo di un cielo azzurro nel quale vola uno stormo di colombi. 

L’artificio pittorico raggiunge il suo vertice nella raffigurazione di una tenda a vela, di tipo arabo, che si aggancia ad un fregio geometrico e floreale, intramezzato da quadretti di paesaggi esotici con capanne e cammelli. A completamento del tutto, nel bel mezzo della tenda, compare una composizione di sapore moresco, formata da due strumenti a corda, da spartiti, foglie di palma e “chefiah” araba, che catturando lo sguardo dell’osservatore, gli dà l’illusione di una reale copertura facendogli anche tornare in mente le arti primitive, arcaiche e africane che il gusto decò degli anni ‘20 e ‘30 del Novecento non disdegnava.

Per dare ancora l’illusione che lo spazio sia più vasto, in un altro ambiente, lo sfondamento illusionistico accoglie le figure di cinque aggraziate fanciulle dai lunghi capelli, armoniosamente disposte lungo lo sviluppo di un nastro svolazzante, in una varietà di pose improntate alla libertà di movimento dei corpi nello spazio. 

Incornicia il tutto un fregio liberty formato da linee eleganti e composizioni di foglie e fiori che si intrecciano.

Non si ha conoscenza dell’autore o degli autori delle decorazioni, ma sulla base di raffronti con alcuni soffitti del Palazzo del Governo, di palazzo D’Alì, sede del Comune e di Palazzo Milo, sede della Soprintendenza ai BB. CC., si può ipotizzare l’intervento di una equipe di artisti non soltanto locali - come Antonio La Barbera (1845-1927) o Giuseppe Saporito (1859-1938) - ma anche di decoratori fiorentini - come Tito Covoni, Achille Scalaffa ed altri - che nei primi decenni del Novecento, furono attivi in città nell’affrescare palazzi privati e pubblici.

Lina Novara