LA MADONNA DI CUSTONACI

LA MADONNA DI CUSTONACI

LA MADONNA DI CUSTONACI

Una tradizione che si ripete l'ultimo mercoledì di agosto

 

Da cinque secoli, a Custonaci, si venera la sacra immagine di una Virgo lactans riprodotta su di una tavola di pioppo.

Nel territorio trapanese, la più antica delle rappresentazioni della Madonna che allatta il Bambino, legata al tema bizantino della galactotròfusa, è quella raffigurata in un affresco risalente alla fine del secolo XIII-inizi del XIV, nell’attuale chiesa di San Domenico a Trapani, che si presume appartenga alla preesistente chiesetta di Santa Maria La Nuova. 

Allo stesso tema si può collegare la lacunosa immagine dipinta ad affresco nell’ex chiesa di Santa Caterina ad Erice, fondata nel 1335 dal nobile milite Giovanni Maiorana. Altra interessante rappresentazione si trova nella tavola cosiddetta della Madonna della luce, ora custodita nel Vescovado di Trapani, ma che ebbe come ultima provenienza la chiesa trapanese della Luce, non più esistente. 

Nel 400 il culto della “Madonna del Latte” si diffuse soprattutto nelle campagne dove i contadini la consideravano di forte valenza simbolico-taumaturgica attribuendole anche svariati miracoli.

In questo ambito cultuale agrario si colloca la “Madonna di Custonaci” che, durante l’ultimo restauro del 2002, ha rivelato una data, purtroppo lacunosa che indicherebbe il 1521 e delle lettere che, individuate come nome dell’autore, non sembrano avere senso compiuto.

La storia del culto della “Madonna di Custonaci” è nota da quanto storia e leggenda ci hanno tramandato: la sacra immagine arriva sulle spiagge di Custonaci in data imprecisata, a seguito di una tempesta che costrinse la nave su cui viaggiava - veneziana o francese, proveniente da Alessandria d’Egitto e diretta a Marsiglia - ad approdare sul litorale, nei pressi dell’odierna Custonaci; una volta sbarcata la sacra immagine venne collocata in una cappelletta di contrada Linciasella, per poi essere trasferita nel 1577 nel santuario dedicatole.

Il restauro del 2002 ha restituito un’immagine diversa da quella fino ad allora venerata nel santuario e che era frutto di un rimaneggiamento del 1780: è emerso un viso giovane, molto aggraziato, con un’espressione dolce e lo sguardo affettuoso rivolto verso il figlio. Dietro al trono uno sfondo di paesaggio marino. Come elemento nuovo, inconsueto e nello stesso tempo molto appariscente sono emersi i decori del manto, in oro zecchino, formati da vasi della tipologia rinascimentale, contenenti ciascuno sette spighe, stampigliati sopra la pittura. Le spighe sono state interpretate come un riferimento alla fertilità dell’agro ericino, ma nell’iconologia cristiana esse alludono al pane e al corpo di Cristo. Il Bambino tiene in mano tre spighe ed inoltre ha una collana con ciondolo di corallo al collo, chiara allusione alla passione e al sangue che verserà. 

Spighe e sangue, pane e vino, nella simbologia cristiana sono simboli eucaristici.

Le tre spighe sono chiara allusione alla Trinità, ma le sette dentro un vaso hanno altro significato!

Il vaso è un oggetto che ha funzione di contenitore. La pietà medievale ha applicato il simbolo del vaso alla Vergine Maria docile alla mano dell’Eterno. Lo Spirito ha riplasmato in lei l’originale natura umana compromessa dal peccato; nella sua integrità è maturato il frutto della vita; dalla sua generosità sono offerti il pane e il vino che nutre le nostre anime. I titoli con cui è onorata nelle litanie lauretane sono vas spirituale, vas honorabile, vas insignae devotionis… 

Le spighe sono simbolo di abbondanza e, in numero di sette, fanno riferimento al sogno del Faraone, descritto nella Genesi 41; il faraone sognò sette spighe di grano piene e mature che crescevano su un solo stelo e sette spighe sottili, allusioni a periodi di abbondanza e di carestia.

Da qui l’usanza dei contadini, proprietari di campi di grano, di appendere dietro la porta della propria abitazione un mazzetto di sette spighe di grano, raccolte in sette campi diversi e intrecciate in un unico stelo, al fine di assicurare al padrone dei campi un buon raccolto e a tutta la sua famiglia, prosperità e salute. La composizione veniva preparata prima del sorgere del sole, aggiungendo alle spighe delle capocchie d’aglio. 

L’esame stilistico della tavola dipinta fa propendere per un’opera improntata su modelli antecedenti che vanno al di là dell’isola e con molti echi della pittura umbra, che l’ignoto autore sicuramente conosceva direttamente o indirettamente tramite stampe o incisioni. In particolare nel volto della Vergine e nell’acconciatura dei cappelli raccolti sulla nuca con un nastro annodato e poi coperti da una cuffietta, compaiono chiari riferimenti ad opere del Pinturicchio, allievo di Perugino, e più specificatamente al volto della sua Santa Caterina d’Alessandria della National Gallery di Londra. 

Dal punto di vista iconografico la tavola ci presenta una Madonna seduta su un trono come una regina, mentre tiene in braccio Gesù Bambino. «Regina» è il titolo usato frequentemente dai Cristiani per invocare Maria che, una volta assunta in cielo, viene incoronata sovrana di tutti i fedeli del Signore da Dio Padre, da Cristo e dagli angeli che nelle sacre rappresentazioni l’accompagnano e la incoronano, come nella tavola. 

La rappresentazione della Virgo lactans di Custonaci tuttavia è una continuazione di quel culto radicato nel territorio locale, siciliano e più ampiamente nazionale che ha le sue origini nella galactotrofusa bizantina, si sviluppa nel ‘200 e nel ‘300 e prosegue fino a quando il Concilio di Trento non ne limiterà la diffusione.

La Riforma cattolica tridentina infatti inserì tra le immagini sconvenienti, le rappresentazioni di Maria a seno scoperto poiché ritenute fuorvianti per il fedele e in grado di distoglierlo dalla preghiera.

La devozione della Madonna di Custonaci continuò nei secoli e soprattutto nel ‘700 vi fu il diffondersi di copie non solo nel territorio locale ma anche nel territorio siciliano attraverso copie, riproduzioni ed anche santini, fino ai nostri giorni.

 

Lina Novara