Hecce Homo e la Sentenza.
Ecce Homo
Pilato, prefetto romano della Galilea dal 26 al 36 d.C., presentando al popolo Gesù vestito beffardamente come un re, con una corona di spine ed una canna in mano, si rivolge alla folla con un gesto quasi di persuasione dicendo: “Ecco l’uomo che avete accusato, nel quale non trovo colpa, e che tuttavia ho fatto punire come se fosse colpevole…Posso infine liberarlo! (Giovanni XIX, 4-7). Ma la folla, i sacerdoti e le guardie gridano Crucifige! Crucifige!”
La scena rappresentata nel gruppo processionale è carica di significati simbolici e si svolge con soli tre personaggi: Pilato con un esotico turbante, Gesù con il corpo nudo e il mantello rosso per beffarda parodia dei manti degli imperatori di colore porpora, un arcigno soldato con corazza. L’elemento che caratterizza questo “Mistero” è la balaustra d’argento che allude al balcone, simbolo della presentazione di Gesù al popolo dal pretorio di Gerusalemme.
L’episodio dell’Ecce Homo ha il valore di una scena plateale nella quale Pilato che ne è il protagonista, offre alla folla un’immagine beffarda di Cristo: alla sontuosità degli abiti di Pilato, vestito con copriabito smanicato che lascia in evidenza la tunica a maniche rigonfie e impreziosita da fregi dorati, fa da contrasto la nudità del figlio di Dio fattosi uomo. Gesù è rappresentato nell’afflitta posa della vittima sacrificale, con le mani legate tramite la corda tenuta dal soldato, e con il volto dall’espressione dolorante, bagnato dal sangue delle ferite provocate dalla corona di spine.
Alla platealità della scena ben si confà la scenografia del balcone, per dimensioni il più grande fra gli ornamenti dei “Misteri”, che GIUSEPPE PARISI COSTRUI’ E CESELLO L’ANNO 1881, come indicato nell’iscrizione. Finemente lavorato a sbalzo e cesello con motivi decorativi neoclassici, è ornato con i simboli dell’eucaristia, le spighe e l’uva, alludenti al corpo e al sangue di Cristo.
Il gruppo statuario fu concesso il 31 marzo 1622 alla categoria dei calzolai che ancora lo mantiene. La paternità dell’opera viene riferita a Giuseppe Milanti (1658- ?), ma considerando che lo scultore visse nella seconda metà del secolo XVII, si può solo ipotizzare che avesse rifatto il gruppo; quello attuale è tuttavia il risultato di un documentato restauro avvenuto nel 1757 ad opera di Baldassare Pisciotta che eseguì, su commissione dei consoli dei calzolai, lavori di sistemazione e ridipintura delle tre statue, oltre che il disegno di una nuova vara.
La sentenza
Pilato, dopo i vani tentativi di salvare Gesù, nella tarda mattinata del venerdì, sedutosi in tribunale, “prese dell’acqua e si lavò le mani dinanzi al popolo dicendo: Io sono innocente del sangue di questo Giusto” (Matteo 27,17-24).
L’episodio viene realisticamente rappresentato nel gruppo La sentenza attraverso cinque personaggi: i due protagonisti Gesù e Pilato, un tribuno che ha in mano la targa con la sentenza per cui Gesù viene condannato - INRJ (Iesus Nazarenus Rex Judeorum) - un soldato che lo tiene legato ed un servo che porge a Pilato la bacinella per lavarsi le mani.
Lo scultore trapanese Domenico Nolfo nel febbraio 1772 ricevette dai consoli dei beccai e dei bucceri l’incarico di realizzare il “Mistero” della “Condanna di Pilato contro nostro Signore Gesù Cristo”. Nell’atto di commissione sono inserite precise indicazioni alle quali lo scultore dovrà attenersi per la realizzazione dei cinque personaggi e nell’utilizzo della tecnica del “legno tela e colla”: “ossatura di castagna…, mani, piedi, e testa di cipresso, sovaro solamente per conturnare, tela, e colla, …due mani il colore ad oglio di lino, e a due mani l’incarnatura ad oglio di noce, la guarnitura d’oro zecchino”.
Il gruppo, affollato di figure a causa di un ravvicinamento avvenuto per la sostituzione della vara alla fine degli anni ’20 del XX secolo, è per fattura uno dei migliori; offre infatti una interpretazione realistica dell’episodio attraverso la gestualità, le pose e le espressioni. Cristo, in primo piano, ancora ha le mani legate, lo scettro di canna, la corona di spine e il rosso mantello - beffardi simboli regali – ed è raffigurato nell’afflitta posa della vittima sacrificale, con il corpo anatomicamente ben curato. Nolfo per il volto di Cristo utilizza quel modello iconografico ben definito nella bottega di famiglia: volto piccolo e profilato da una barba sottile e bipartita, palpebre socchiuse, bocca piccola da cui traspare la dentatura, baffi lunghi, capigliatura fluente con ciocche che ricadono sulle spalle.
Pilato, in quanto prefetto della Galilea, veste gli abiti che il suo ruolo gli impone: un mantello bordato di frange dorate, una veste stretta da una cintura e ornata da fregi barocchi in argento (sec. XVIII), un copricapo a turbante.
Ricca di effetti pittorici è la divisa del tribuno che, appoggiato ad un bastone, tiene in mano la targa d’argento (sec. XIX) alludente alla sentenza: degne di nota sono la sua spada con guaina e la bandoliera, manufatti pregevolissimi di argenteria trapanese del secolo XVIII. Quello che rafforza il significato della scena è il bacile d’argento tenuto in mano dal servo, chiara allusione al simbolico gesto di Pilato di lavarsi le mani; si tratta di un manufatto trapanese del 1794, rispondente alla tipologia largamente diffusa nel Settecento.
Lina Novara
Foto di Nicolò Miceli
Testi tratti da: L. Novara, «Settimana Santa a Trapani. I riti e i “Misteri”», Associazione Eventiamo, Trapani 2022.
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