SPECIALE SAN GIUSEPE IN SICILIA OCCIDENTALE

SPECIALE SAN GIUSEPE IN SICILIA OCCIDENTALE

SPECIALE SAN GIUSEPE IN SICILIA OCCIDENTALE

L'usanza particolare delle cene di San Giuseppe.

Un’usanza particolare si riscontra nelle cosiddette cene di San Giuseppe soprattutto nella Sicilia occidentale.

In tali occasioni, le famiglie in attesa di una particolare grazia da parte del santo o per grazia ricevuta allestiscono nelle proprie abitazioni altari votivi addobbati con mirto, alloro, arance, limoni, pani ed altro, e invitano tre personaggi rappresentanti Gesù, Giuseppe e Maria (la Sacra Famiglia) a cui si offre una cena composta da numerosissime pietanze.

Sull’origine di questa tradizione, alla cui base c’è l’abbondanza delle offerte ed il tipo delle stesse, ci sono varie ipotesi remote e meno, pagane e cristiane su cui vale la pena di soffermarsi.

Nell’antichità si usava sempre offrire o sacrificare vittime alle divinità, in alcuni casi assumeva valenza particolare la spiga quale simbolo delle iniziazioni consacrate a Demetra e a Dioniso. Quest’ultimo, in particolare, veniva rappresentato sotto il simbolo del pane come nutrimento dell’uomo e che, consumato, diventa uomo. A Roma il culto di Demetra, conosciuto attraverso le colonie della Magna Grecia, fu identificato con Cerere dea delle messi e protettrice della plebe alla quale assicurava il pane e, in suo onore si celebravano le Cerealia.

Sempre a Roma il culto della dea delle biade fu sempre più fiorente nell’età imperiale e sopravvisse alla nuova religione. Anche allora non fu facile abbandonare o distruggere riti e costumanze che rispondevano ai bisogni ed alle aspirazioni di un popolo dedito, in gran parte, alla vita agricola e offrivano occasione ad allegre feste delle plebi in onore di chi dava loro il pane e la farina.

Anche la data del 19 marzo, festa di San Giuseppe, che precede di due soli giorni l’equinozio di primavera e che rappresenta il risveglio della natura e l’inizio del processo di maturazione e, quindi, raccolta dei prodotti agricoli (grano in special modo), va celebrata con l’abbondante offerta di cibo. Nelle feste patronali, almeno una volta, il mangiare piuttosto abbondante si configurava come straordinario, unico, come la festa patronale e differente. In tal senso si dava anche ai poveri la possibilità di gustare questa differenza.

Nel mondo cristiano e solo di recente si attribuisce a San Giuseppe la protezione degli orfani e dei poveri. La Sacra Famiglia, infatti, fino a qualche anno fa, veniva rappresentata da tre autentici poverelli a cui si offriva il ben di Dio.

Ma veniamo alle cene di San Giuseppe (mmitu o ammitu di San Giuseppe) relativamente alla provincia di Trapani.

Diciamo subito che la partecipazione di partenti, amici, vicini di casa, nella fase progettuale prima, operativa e conclusiva poi, costituisce motivo di socializzazione visto che lo stare assieme e per parecchi giorni comporta scoperta e approfondimento di legami e valori umani non indifferenti.

Per prima cosa si allestisce una struttura a forma di cappella che viene ornata con mirto, alloro, arance, limoni, pani. All’interno della struttura viene collocato un altare con tre o più alzate ricoperte di bianche lenzuola, al centro della struttura viene, poi, posta la tavola dove si consumerà la cena. Importanza fondamentale rivestono le svariate forme dei pani che, preparati tempo prima da mani esperte, assumono una valenza estetica, connotativa e simbolica. Se la prima, infatti, rende accattivanti gli altari, la seconda ne denota l’abbondanza e lo sfarzo, la terza ne esplica la simbologia che sottende a tutta la celebrazione del rito.

La forma dei vari pani altro non è che l’allegoria del creato nelle sue manifestazioni: animale e vegetale. I pani, pertanto, hanno la forma di colombe, aquile, pavoni, uva, fave, piselli pomodori, agli e ancora, sole, luna ecc…Altri simboli, sempre di pane, connotano le figure di Gesù (tunichetta, scale, croci, chiodi, martelli ecc…), di San Giuseppe (tenaglie, martelli, seghe, pialle, chiodi ecc…), della Madonna (forbici, nastrini, aghi, filo ecc..). Il primo, infatti, è rappresentato con la nascita, passione e morte; il secondo nella qualità di falegname, la terza quale casalinga. Sull’altare, la cui parte sommatale è occupata da un quadro raffigurante la sacra famiglia, campeggiano dei grossi pani simboleggianti i tre santi: cucciddatu (Gesù Bambino), vastuni (San Giuseppe), parma (Maria). Non mancano calici, colombe, fiori, cestini di frutta ed altro a seconda dell’estro artistico delle donne che, normalmente, fanno i pani. Completano l’addobbo dell’altare vasi con fiori, brocche con acqua (purezza), vino (sangue di Nostro Signor Gesù Cristo), pesciolini rossi (purezza, innocenza), lavureddi o giardini di Adone (risveglio della natura) ecc…Tutto questo viene preparato con tanto anticipo rispetto alla data del 19 marzo. In questo giorno tutto l’impegno è rivolto alla drammatizzazione del rito che inizia con i tre componenti la sacra famiglia che bussano alla porta di casa di chi organizza la cena. Da dentro si chiede: cu è? E San Giuseppe: semu tri poveri piddirini e vinemu di luntana via e in risposta: ccà unn’è funnacu né lucanna jtivinni a n’atra banna e questo viene ripetuto due volte; al terzo cu è? si risponde semu Gesù, Giuseppe e Maria; e allora: Gesù, Giuseppe e Maria?; apru la porta cu ranni alliria, trasiti tutti ‘n casa mia. I tre, a questo punto, entrano, vengono loro lavate le mani e prendono posto attorno alla tavola. All’interno della struttura tre donne, ricevendo le pietanze ne gridano il contenuto aggiungendo: viva Gesù, Giuseppe e Maria e gli astanti a rispondere: viva. Tre uomini, elegantemente vestiti e con una tovaglia bianca al braccio, hanno il compito di imboccare i tre figuranti perché non si contaminino col toccare il cibo. Il pranzo vero e proprio ha inizio con l’offerta al Bambino Gesù di un’arancia che simboleggia il globo terrestre, mentre uno spicchio di arancia viene fatto assaggiare ai tre. Il pranzo prosegue con l’assaggio delle numerose pietanze, almeno 101. A Salemi si chiude con la degustazione di pasta condita con aglio, olio, prezzemolo, mollica di pane, zucchero e cannella. Tutte le pietanze possono essere offerte agli astanti.

La serata si conclude con una vampata e allorquando le fiamme si affievoliscono, vengono superate da giovani ardimentosi che interpretano il gesto come atto di coraggio; in effetti altro non è che l’atto di purificazione che si ottiene passando attraverso il fuoco purificatore.

Salvatore Valenti

Foto: gli altari di San Giuseppe realizzati in Sicilia occidentale - VITA

 

 

 

 

 Ricette tradizionali

 

SFINCIONI  DI SAN GIUSEPPE

 

INGREDIENTI:

 ½ l. d’acqua.

350 g. sugna

500 g. farina

15 uova

½ cucchiaino di bicarbonato

sale

olio

 

 

1 kg. di  ricotta

100 g. di cioccolato fondente

100 g scorza d’arancia candita,

100 g. zuccata

500g.di zucchero

vaniglia

 

PREPARAZIONE:

Fare bollire l’acqua con la sugna e un pizzico di sale. Fuori dal fuoco aggiungere alla farina, le uova (uno alla volta) e girare sempre. Far riposare per due ore e friggere il composto a cucchiaiate in olio caldo; quando gli sfincioni affiorano, toglierli dall’olio e scolarli. Mescolare la ricotta con lo zucchero e la vaniglia e far riposare  per circa un’ora. Passarla a setaccio e aggiungere il cioccolato, la scorza d’arancia candita, la zuccata a pezzetti. Farcire con questa crema gli sfincioni .

 

 

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