La deposizione dalla croce e il trasporto al sepolcro
Nona scinnuta: La deposizione dalla croce e Il trasporto al sepolcro
La deposizione dalla croce
Accertata la morte, Gesù viene deposto dalla croce. Secondo i racconti evangelici Giuseppe d’Arimatea chiese il corpo a Pilato e con l’aiuto di Nicodemo, depostolo dalla Croce, l’avvolse in un lenzuolo (Luca XXIII, 53).
Nel “Mistero” sono raffigurati solo i personaggi che erano sotto la croce durante l’agonia di Gesù: Giovanni, Maria, Maria Maddalena. Alle loro spalle è posta la croce alla quale sono addossate due scale a pioli, segno dell’avvenuta deposizione.
Autore dell’opera fu Antonio Nolfo (1698-1781) che nel 1730 ricostruì il gruppo probabilmente modificando la posizione di Gesù che nel precedente “Mistero” era in braccio a Maria, secondo l’iconografia della “Pietà”.
Gravemente danneggiato durante il bombardamento del 1943, fu ricostruito con l’utilizzo delle parti superstiti da Alberto Fodale e Leopoldo Messina e ricomparve in processione nel 1951, purtroppo modificato nei drappeggi e con pesanti stesure di stucco.
Il tema de La deposizione dalla croce ha avuto nella Storia dell’Arte, fin dal Medioevo, una vasta e variata diffusione per le forti valenze mistiche e simboliche.
Forti connotati umani e dolorosi assume infatti la sacra scena per le lacrime che versa Maria alzando gli occhi al cielo quasi in un gesto di attesa misericordia, e per quelle di Maddalena che, in ginocchio in segno di devozione e di umiltà, rivolge lo sguardo a sinistra per non guardare il corpo piagato di Gesù, pur tenendogli la mano. Maddalena è rappresentata con lunghi capelli raccolti sulla nuca, in riferimento all’episodio evangelico secondo cui asciugò i piedi di Cristo con i propri capelli dopo averli bagnati con le lacrime di pentimento.
Giovanni, il giovane discepolo prediletto, rimasto presso la croce fino alla morte di Gesù, pietosamente si china per sostenere il suo corpo esamine mentre, piangendo in maniera composta, sembra meditare.
Sul corpo di Gesù è messa in evidenza, in modo realistico, la ferita del costato, allusione al passo evangelico secondo cui dal fianco aperto di Gesù uscì sangue e acqua; note patetiche aggiungono inoltre alla scena le numerose ferite, evidenziate dal colore rosso del sangue.
Le scale addossate alla croce sono uno dei simboli della passione ed il bianco lenzuolo, il tradizionale “sacro lino”, viene identificato con la Sindone conservata a Torino.
Tra splendide aureole a raggiera, manufatti di argenteria trapanese della seconda metà del secolo XVIII, ornano le statue di Giovanni, Maddalena e della Madonna che tiene sul petto uno stiletto d’argento (1761) per indicare l’immenso dolore del suo cuore trafitto.
Il trasporto al sepolcro
Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma segreto per paura dei Giudei, chiese a Pilato di togliere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse… Venne anche Nicodemo…Presero dunque il corpo di Gesù e lo avvolsero con le bende assieme agli aromi, secondo l’usanza di seppellire dei Giudei (Giovanni XIX, 38-40). Disteso sul lenzuolo, il corpo, ancora sanguinante, viene trasportato al sepolcro da Giuseppe di Arimatea, Nicodemo, Giovanni, Maria Maddalena, e accompagnato da Maria, straziata dal dolore.
Il gruppo, attribuito al trapanese Giacomo Tartaglio (1678-1751), un raffinato artista distintosi nel panorama locale per pregevoli lavori in legno e in marmo, conclude il ciclo della passione. Si tratta di un rifacimento dell’originale “Mistero” di “Christo dentro lo linzolo”, già affidato ai corallai nel 1619, da questi restituito nel 1790 alla Compagnia di San Michele Arcangelo per poi riprenderlo qualche anno dopo e restituirlo definitivamente nei primi dell’Ottocento; in seguito venne concesso ai salinai i quali tuttora ne sono affidatari.
Il tragico tema del Trasporto di Cristo al sepolcro implica un’azione dinamica che nel gruppo processionale viene interpretata in modo composto ed equilibrato dagli stessi personaggi che si trovavano sotto la croce con l’aggiunta di Giuseppe di Arimatea e Nicodemo. Tutti ruotano attorno alla figura di Cristo, esamine sul lenzuolo, con il corpo ben modellato e anatomicamente curato, realizzato in sughero rivestito di gesso e colla. Su tutti sovrasta Maria, chiusa nel manto e nel dolore, con le braccia aperte in senso di desolazione, gli occhi bagnati di pianto. Nell’esprime lo strazio di una madre per la morte di un figlio, è raffigurata come “Mater Dolorosa”, corrispondente all’iconografia dell’Addolorata. Probabilmente la statua, non citata nell’atto di affidamento, fu aggiunta in seguito al rifacimento settecentesco.
Giovanni, contrariamente all’iconografia tradizionale che lo vuole imberbe, ha barba e baffi e una articolata capigliatura con le ciocche ondulate che gli ricadono sulle spalle.
Maria Maddalena ha un volto umanissimo e i suoi lunghi capelli alludono all’episodio evangelico secondo cui, con essi, asciugò i piedi di Cristo, dopo averli bagnati con le lacrime di pentimento.
La drammaticità della scena si arricchisce di elementi patetici attraverso la messa in evidenza delle piaghe di Gesù, ancora sanguinanti, e dei buchi lasciati dai chiodi nei piedi. Il “sacro lino” nel quale è avvolto il corpo di Cristo, ha carattere devozionale e valore simbolico in quanto assimilabile alla sacra Sindone sulla quale rimase impressa la sua immagine.
Il gruppo è stato ricostruito da Giuseppe Cafiero nel 1949, a seguito degli eventi bellici del 1943.
Lina Novara
Foto di Nicolò Miceli
Testi tratti da: L. Novara, «Settimana Santa a Trapani. I riti e i “Misteri”», Associazione Eventiamo, Trapani 2022.
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