Il tesoro è custodito presso il Museo di Trapani "Agostino Pepoli"
Presso il Museo regionale di Trapani “Agostino Pepoli” sono custoditi ed esposti i gioielli che nel passato sono stati donati alla Madonna di Trapani.
Dalla lunga e talvolta leggendaria tradizione legata al simulacro marmoreo, è sempre emerso l’omaggio resole nei vari secoli da re, principi, nobili, prelati e semplici fedeli che hanno offerto ricchissimi doni alla veneratissima “Madonna”, una statua trecentesca attribuita a Nino Pisano, che fino agli inizi del secolo scorso era rivestita dai preziosi gioielli.
Giunto al Museo all’epoca della fondazione (1907 ca.) dopo essere stato incamerato dal Comune di Trapani nel 1866, in seguito alla soppressione degli ordini monastici, l’inestimabile “tesoro”, composto di preziosi gioielli, costituisce oggi un importante documento sia per la storia dell’oreficeria siciliana, sia per la storia sacra, in quanto testimonianza della devozione, sempre forte, e del fervore religioso verso la Madonna di Trapani.
I gioielli, per la maggior parte del secolo XVII, corrispondono per tipologia, connotati stilistici e decorazione, al gusto barocco dell’epoca e si caratterizzano, come tutta la produzione orafa dell’isola, per la ricchezza di pietre, gemme, perle e smalti, oltre che per la forte policromia e talvolta anche per la ridondante decorazione. Ad essere offerti erano per lo più collane, orecchini, anelli, parure di pendenti e orecchini, qualche bracciale e tanti pendenti di tutte le fogge, ma anche rosari e persino amuleti e oggetti scaramantici con valore apotropaico.
Negli inventari del tesoro ricorre spesso la definizione di gioiello “alla spagnola”, quasi a volere sottolineare le assonanze stilistiche tra i gioielli siciliani e la coeva oreficeria spagnola, caratterizzata da una fitta decorazione e da un ampio uso di smalti e di gemme che decorano, a tappeto, la superficie dell’oro.
“Alla spagnola” vengono definiti una serie di pendenti e orecchini che hanno per caratteristica tre catenelle d’oro e numerosi piccoli pendenti con perline o elementi di corallo.
Non mancano poi, per la particolarità degli smalti neri o per la tipologia, alcuni gioielli riferibili a orafi spagnoli o siciliani spagnoleggianti.
Raffinatissimi sono due rami fioriti, di manifattura siciliana del secolo XVII, che rientrano in una tipologia diffusa sia in Sicilia che i Spagna nei secoli XVII e XVIII e che rimanda ai vasi con fiori degli “apparati” barocchi, destinati agli altari o alle facciate degli edifici, parate a festa, spesso riprodotti anche nei paliotti architettonici. Un ramo è composto da fiori in smalto rosa e bianco, tra i quali sono incastonati diamanti, smeraldi, rubini e perle; l’altro è formato da fiori di perle che fuoriescono da una cornucopia in smalto. Le perle ritornano in un paio di orecchini a tulipano, in oro e smalti (fine sec. XVII) e in un rosario con medaglione contornato da cornice in filigrana d’oro, raffigurante a smalto, San Domenico da un lato, e Santa Rosalia dall’altro, realizzato in Sicilia tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo. Una grossa perla bianca, associata all’oro, agli smalti e al corallo forma inoltre un pendente attribuito ad un orafo trapanese della metà del secolo XVIII.
Per la presenza di microsculture in corallo si riconoscono come manufatti trapanesi un pendente con San Giovanni Battista, due bracciali, attribuiti a Fra Matteo Bavera, formati da cammei che richiamano la fattura di quelli del calice riferito al frate, un orecchino con San Giuseppe, un pendente con la Madonna di Trapani, un orecchino con cuore.
Opera superba, di alta oreficeria, è il prezioso pendente reliquiario del secolo XVII, fittamente decorato con smalti, gemme, perle e opali: la presenza di questi ultimi, poco usati in Sicilia, induce ad attribuirlo ad un orafo spagnolo o ad un siciliano spagnoleggiante.
Un manufatto singolare è il pendente con topazi che reca la lettera S attraversata da una lancia, indicante il termine “schiavo” con il quale si definivano i membri di alcune confraternite spagnole. L’opera classificata come manufatto di orafo messinese spagnoleggiante, in relazione al fatto che l’oggetto è stato donato da un marinaio di Messina, potrebbe comunque essere stata acquistata in Spagna.
Fa parte del tesoro una serie di pendenti con Agnus Dei dentro cornici di cristallo di rocca (sec. XVII), ai quali si attribuiva il potere di salvare da ogni male e di proteggere le donne durante il parto.
Di probabile provenienza spagnola sono invece: un pomander (contenitore per medicamenti profumati, avente il potere, secondo una credenza spagnola, di preservare dalle infezioni) cui è legata una medaglia d’oro con i profili dei reali di Spagna, Isabella e Ferdinando il Cattolico; un pendente di forma circolare con pendentino formato da smeraldo e perla (sec. XVII).
Quello che tra tutti i gioielli spicca per pregio, fattura ed eleganza è il pendente in oro, diamanti e smeraldi, donato dalla duchessa Uzeda, moglie del viceré Francesco Paceco nel 1696 e composto da tre tulipani legati da un nastro, formati da 334 diamanti e 80 smeraldi.
Un campanello d’oro, ornato da smalti neri (metà del secolo XVII), fu invece l’originale dono che fece alla Madonna di Trapani la nobile Donna Innocenza Bruno e Riccio, come recita l’iscrizione posta nel bordo interno.
Centotrentadue rubini impreziosiscono il pendente con Sant’Agata, formando la cornice floreale che circonda la riproduzione in oro del busto reliquiario della Santa.
Al tesoro appartengono inoltre alcuni piatti da parata in argento sbalzato e cesellato, tra i quali quello raffinatissimo, eseguito dal maestro di Norimberga Elias Lencker, documentato dal 1562 al 1591, che utilizzò motivi decorativi tratti dal manierismo italiano.
Lina Novara