"CAVALCANDO L`ONDA"

"CAVALCANDO L`ONDA"

"CAVALCANDO L`ONDA"

"Il clandestino" tratto dal libro di Franco Agate.

IL CLANDESTINO Qualcosa iniziava a insinuarsi nei suoi pensieri, rimase a osservare il mare appena increspato, azzurro e luminoso. Il sentire pulsare le vene irrorate dal sangue lo rese più silenzioso del solito. Cos’era mai? Che cosa fosse quel nuovo sentire che prendeva possesso dei suoi pensieri di fronte alle onde del mare, non sapeva decifrarlo. Le vene pulsavano nella libera espressione di un’emozione forte. Il vento teneva per mano l’ultima onda, poi lasciava che scivolasse a riva e piroettava in un volo di gabbiani mentre lui restava li, immobile come le pietre degli scogli, incurante del giorno che abbandonava il sole per appartarsi dietro la notte. Si sentiva solo, unica presenza nello sciabordio delle voci marine che si allontanavano, dimensione ideale per concedersi l’abbandono del pianto e il desiderio feroce di soffrire fino in fondo le sue pene. Gli giungevano effluvi di peonie nel pieno della loro fioritura, di calle fluttuanti e gelsomini inebrianti. Aleggiava nell’aria un profumo che conosceva bene, l’odore che ha la libertà, il sentirsi parte della natura. Rivedeva, come in un film in bianco e nero, la sua vita vissuta da clandestino, nascosto nella nave dei pregiudizi e delle paure. Ora gli ultimi brandelli di quel legno marcio se ne andavano alla deriva e per non morire doveva aggrapparsi a ciò che sempre aveva creduto di possedere, recuperarlo a dispetto del mondo e di tutti quelli che lo avevano inseguito e costretto a fuggire. Come in un rito iniziatico si spogliò degli abiti vecchi che da troppo tempo si portava addosso. Li lasciò sulla sabbia che non cambia colore. Sentiva di esserci ancora ma anche di non esserci mai stato. Ascoltava quella voce che proveniva dal nulla. Pensieri contenuti, pensieri liberati. Pensieri antichi che davano spazio ad altri più recenti. Si sentiva assente nella presenza di una realtà tangibile ma illusoria. Nessuno lo conosceva bene, nemmeno lui stesso. Abitava dentro la sua casa da clandestino come fosse un nascondiglio. Le sue paure non riusciva a comprenderle. Dubitava sempre e, in ogni modo, era sospettoso, nervoso, irrequieto, irruente. Amava la notte più del giorno. Il colore nero lo mimetizzava, indossava una maschera che gli permetteva di aggirarsi liberamente. Ovunque. Lo videro immobile ai piedi di un lampione poco illuminato, lungo la stradina che costeggiava il mare. Quella notte rimase fermo in quel punto. Fumava, quando sentì urlare disperatamente “Aiuto”. Intorno aveva soltanto delle ombre. Chi poteva aver gridato ? Silenzio. Poi ancora quella voce disperata. Di nuovo silenzio, un assoluto, prolungato silenzio. A un tratto riconobbe quella voce, apparteneva a un uomo che conosceva bene. Perché tanto dolore? Chiese a se stesso di cosa avesse paura. Si specchiò nell’acqua, alla luce della luna. Gli occhi erano uguali a quelli del giovane che era stato, velati da lacrime calde e copiose. L’acqua lo accolse come una madre, sentì in lui le forze di una rinascita, stese le braccia come per ricevere quell’energia nuova, Non sarebbe più stato un clandestino, alla luce del nuovo giorno avrebbe ripreso il cammino. Foto di copertina del libro: Franco Agate da bambino